Il quaderno di Carla. I ricordi di Carla Morani deportata ad Auschwitz.

L’importanza della memoria, del ricordo e soprattutto la forza e la fermezza di una testimonianza lucida e sconvolgente, un monito per tutti .

...Carla Morani è tra coloro che tornano. Rivede Magenta nel giugno del 1945. Dopo diciotto mesi. Reduci di guerra, ex prigionieri, ex deportati, ex partigiani: sono in molti ad avere sperimentato vicende terribili. Sentono il bisogno di raccontare quello che hanno visto. Tra il 1945 e il 1947 scrivono memorie, resoconti delle proprie esperienze, testimonianze.

Qualcosa viene pubblicato dai giornali o da piccole case editrici.

Una di esse pubblica, nel 1947, la prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi, il testo più importante della memorialistica sui lager nazisti che, allora, passa inosservato.

Altri finiscono nei cassetti.

Dopo il 1947, queste voci si spengono. In molti preferiscono dimenticare, o non ascoltare. I processi ai responsabili degli arresti e delle deportazioni si risolvono nelle amnistie. Le pratiche contro i criminali di guerra nazisti in Italia finiscono negli “armadi della vergogna”. Solo negli anni Cinquanta le voci dei deportati ricominciano a farsi udire: e continueranno, ma non è mai mancato chi ha preferito  non ascoltare o coperto la loro voce o cercato di cambiare
discorso.

I testimoni, con il trascorrere degli anni, scompaiono. Ma ciò che hanno scritto resta. Come il quaderno di Carla Morani. Un quaderno scolastico, a righe, di quelli che venivano stampati durante il fascismo: decorato con disegnini che rappresentano navi da guerra, sommergibili, cannoni, proiettili, bombardieri. Sul retro della copertina è riprodotta la foto di quattro serventi di un mortaio da 81. Davanti, una batteria contraerea. E’ così, del resto, che il fascismo concepiva l’educazione degli scolari. Probabilmente, Carla Morani avrebbe preferito altre foto, altre
decorazioni. Ma non si trova di meglio, nel 1945. Il 26 settembre ha preso quel quaderno, ha scritto il suo nome nello spazio in bianco sul frontespizio, come le avevano insegnato a scuola.

Ha aperto la prima pagina e ha incominciato a scrivere.

…Il convoglio andava, andava spesso fermandosi in interminabili soste. Ma non una voce giungeva dall’esterno; sembrava che il mondo ci avesse dimenticati e che noi viaggiassimo verso un’eternità di tenebra e di dolore. Aspettavamo invano, tutto quel giorno, che le porte si aprissero e che qualcuno ci portasse un po’ di cibo, o almeno che ci si facesse uscire per un momento all’aria. Nulla! Ognuno, in cuor suo, invocava la fine di quell’orribile viaggio. Quel viaggio somigliava a una morte lenta. Era tormentoso il pensiero di ciò che ci avrebbe atteso nel misterioso Lager, ma ci sembrava, allora, che nulla potesse superare in orrore il supplizio di quella prigione viaggiante. Il treno andava, andava senza che quelle porte maledette si aprissero…